Disturbo Attentivo

Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI) è uno dei più comuni disturbi neurocomportamentali e si manifesta, nella prima infanzia, principalmente con due sintomi:

  • evidente livello di disattenzione che si riscontrano soprattutto in bambini che, rispetto ai propri coetanei, presentano un’evidente difficoltà a rimanere attenti o a lavorare su uno stesso compito per un periodo di tempo sufficientemente prolungato.
  • una serie di comportamenti che denotano iperattività e impulsività. Solitamente questi soggetti non riescono a seguire le istruzioni offerte dalla maestra, sono disorganizzati e sbadati nello svolgimento delle loro attività, hanno difficoltà nel mantenere la concentrazione, si fanno distrarre molto facilmente dai compagni o da rumori occasionali e raramente riescono a completare un compito in modo ordinato.

Quando sono in classe sembrano disorientati e anche a casa passano da un’attività all’altra senza trasformare in conoscenza l’esperienza che stanno facendo, in quanto superficialmente  averne completata alcuna, si guardano continuamente attorno, soprattutto durante lo svolgimento di compiti, ma anche durante la proiezione della trasmissione tv preferita, ciò accade però soprattutto nei momenti in cui tali attività risultano noiose e ripetitive.

Giocano in modo rumoroso, parlano eccessivamente con scarso controllo dell’intensità della voce, interrompono le persone che conversano, senza essere in grado di aspettare il momento opportuno per intervenire, incapaci di attendere una scadenza o il proprio turno.
Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, o ADHD, è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo.

Esso include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività.

Questi problemi derivano sostanzialmente dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente.

L’ADHD non è una normale fase di crescita che ogni bambino deve superare; non è il risultato di una disciplina educativa inefficace; non è un problema di «cattiveria» del bambino.

L’ADHD è un vero problema, per l’individuo stesso, per la famiglia e per la scuola, e spesso rappresenta un ostacolo per il raggiungimento degli obiettivi personali. E’ un problema che genera sconforto e stress nei genitori e negli insegnanti i quali si trovano impreparati nella gestione del comportamento del bambino.

Innanzitutto è necessario scoprire se il bambino, abbia veramente un Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) oppure se sia semplicemente irrequieto e con la testa tra le nuvole.

 La predominanza di sintomi di distrazione/disattenzione può includere:

  • l’essere facilmente distratti, non cogliere dettagli, dimenticare le cose, e spesso passare da un’attività all’altra
  • l’avere difficoltà a concentrarsi su una cosa
  • l’essere annoiato con un compito, dopo pochi minuti
  • l’avere difficoltà a focalizzare l’attenzione sull’organizzazione e completamento di un compito o nell’imparare qualcosa di nuovo
  • spesso perdendo le cose (per esempio, matite, giocattoli, compiti) necessarie per completare le attività
  • non sembra ascoltare quando gli si parla
  • sognare ad occhi aperti
  • l’avere difficoltà di elaborazione delle informazioni con la stessa rapidità e precisione degli altri
  • difficoltà a seguire le istruzioni.

La predominanza di iperattività-impulsività può includere:

  • toccare o giocare con qualsiasi cosa sia a portata di mano
  • avere difficoltà a star seduti durante la cena, la scuola ecc..
  • essere costantemente in movimento
  • avere difficoltà a svolgere compiti o attività tranquille
  • essere impaziente
  • proferire commenti inappropriati, mostrando le proprie emozioni senza inibizioni, e agire senza tener conto delle conseguenze
  • avere difficoltà nella turnazione
  • ridere spesso, con o senza un motivo reale

presenza sempre di problemi relazionali

quanto riguarda i problemi relazionali, i genitori, gli insegnanti e gli stessi coetanei concordano che i bambini con ADHD hanno anche problemi nelle relazioni interpersonali. Vari studi di tipo sociometrico hanno confermato che bambini affetti da deficit di attenzione con o senza iperattività

  • ricevono minori apprezzamenti e maggiori rifiuti dai loro compagni di scuola o di gioco;
  • pronunciano un numero di frasi negative nei confronti dei loro compagni dieci volte superiore rispetto agli altri;
  • presentano un comportamento aggressivo tre volte superiore;
  • non rispettano o non riescono a rispettare le regole di comportamento in gruppo e nel gioco;
  • laddove il bambino con ADHD assume un ruolo attivo riesce ad essere collaborante, cooperativo e volto al mantenimento delle relazioni di amicizia;
  • laddove, invece, il loro ruolo diventa passivo e non ben definito, essi diventano più contestatori e incapaci di comunicare proficuamente con i coetanei.

 

Tale disordine, se non trattato, espone al rischio di sviluppo successivo (adolescenza, adulti) di condotte antisociali, abuso di sostanze, difficoltà attentive, interpersonali ed educative

Nessuna persona, che non sia uno specialista (ad esempio, uno psicologo, una logopedista o un neuropsichiatra infantile ), si deve sentire autorizzata a decidere se quel bambino presenta o meno un ADHD.

La terapia per l’ADHD si basa su un approccio multimodale che combina interventi psicosociali con eventualmente terapie mediche.

I genitori, gli insegnanti e lo stesso bambino devono sempre essere coinvolti nella messa a punto di un programma terapeutico, individualizzato sulla base dei sintomi più severi e dei punti di forza identificabili nel singolo bambino.

Gli interventi attuabili nell’ADHD sono i seguenti: Nella terapia con il bambino i settori di intervento saranno mirati al miglioramento dei sintomi cardine quali disattenzione, iperattività, impulsività, e alla gestione /riflessione rispetto ad eventuali disturbi associati (es. disturbo d’ansia, disturbo oppositivo provocatorio, dell’umore), e ad alcune difficoltà relazionali (esercitazione al problem solving interpersonale, gestione delle emozioni, tolleranza alla frustrazione, gestione dell’errore).

Figure di riferimento: la logopedista, lo psicoterapeuta.

Nel supporto alla famiglia gli ambiti di lavoro convergeranno rispetto ai problemi genitoriali, alla mancanza di controllo, al senso di inefficacia, ai problemi relazionali, alla gestione del conflitto interpersonale, attraverso un approccio prevalentemente cognitivo-comportamentale.

Figure di riferimento: psicoterapeuta o a volte un educatore specializzato in sostegno genitoriale.

Nell’intervento scolastico i settori riguarderanno le difficoltà di apprendimento e di insuccesso scolastico, la riduzione dei comportamenti problema, l’integrazione sociale tra studenti, il rapporto insegnante-studente, le relazioni interpersonali negative con i coetanei, il rispetto delle regole, la gestione delle emozioni.

Figure di riferimento per creare un lavoro in equipe con loro: logopedista e psicoterapeuta.

I questionari. I questionari sono degli strumenti molto utili perché consentono di avere in poco tempo un quadro del comportamento del bambino in contesti di vita differenti. Quasi tutte le scale per la valutazione dei comportamenti sintomatici del ADHD hanno una versione per genitori e una per insegnanti, in modo da consentire il confronto tra i due contesti di vita più importanti per il bambino.

Di solito queste scale includono anche una versione per il bambino, in modo da consentire di ottenere anche il suo punto di vista.

I questionari prevedono una valutazione che non si limita a chiedere se un comportamento sintomatico è presente o no, ma richiedono di stimare la frequenza (o gravità) del comportamento/tratto su una scala a tre o quattro punti usando una gamma di punteggi che vanno da 0 a 3 o 4 punti (da “Mai – Per Nulla” fino a “Molto spesso – Completamente vero”). In questo modo l’accento viene opportunamente spostato dal numero di sintomi presentati (come accade nei Manuali psichiatrici) alla loro consistenza.

Ci possono essere diverse tecniche per effettuare un’osservazione clinica, ma di solito sono previsti i seguenti passi:

  1. inventario dei comportamenti negativi emessi dal bambino (osservazione non strutturata): questa fase richiede di identificare i comportamenti che sono chiaramente definibili e che sono frequenti;
  2. categorizzazione dei comportamenti negativi: in questa fase bisogna cercare di raggruppare i comportamenti negativi più frequenti, ad esempio per il contesto scolastico: “va dal compagno durante la lezione”, “corre tra i banchi”, “esce dalla classe prima della fine della lezione” possono rientrare nella categoria “si allontana dal proprio banco”;
  3. osservazione strutturata delle classi di comportamento negativo: consiste nel segnare, su un’apposita tabella, la frequenza delle classi di comportamento, con particolare attenzione agli antecedenti che tendono a scatenare il comportamento problematico e alle conseguenze che potrebbero avere la funzione di mantenerlo.
  4. test cognitivi e neuropsicologici

Una volta completata la raccolta di informazioni sul comportamento del bambino tramite i resoconti di insegnanti e genitori, il clinico può somministrare dei test cognitivi, per indagare alcune funzioni neuropsicologiche, allo scopo di ottenere conferme per la diagnosi, delineare il profilo funzionale, effettuare una diagnosi differenziale per disturbi di tipo cognitivo o neuropsicologico e programmare un eventuale intervento riabilitativo di tipo cognitivo.

Ai test, i bambini con ADHD, possono fornire buone prestazioni a causa del contesto strutturato in cui vengono somministrati (al contrario, se lasciati a loro stessi senza supervisione, i bambini con ADHD tendono a fare genericamente male a tutte le prove).

Se aggiungiamo il fatto poi che alcuni bambini con ADHD spesso sono piuttosto intuitivi, possiamo ritrovarci di fronte ad una prestazione assolutamente brillante. Per questo motivo è importante sottolineare che la diagnosi di ADHD è clinica, ossia non esiste alcun test in grado di stabilire con certezza la presenza del disturbo.

La valutazione può includere l’analisi delle abilità cognitive attraverso la somministrazione di una WISC (si è talora fatto riferimento a subtest implicanti il controllo dell’attenzione, quali quelli di Ragionamento Aritmeticoa, Memoria di Cifre e, in parte, Cifrario).

Ci si attende comunque che il livello intellettivo del bambino con ADHD sia comparabile a quello degli altri bambini, un dato che pone problemi per le teorie dell’intelligenza basate sul costrutto di controllo dell’attenzione. Si può poi procedere alla valutazione di altri processi cognitivi frequentemente deficitari nei bambini con ADHD: l’attenzione sostenuta, l’uso di strategie, l’inibizione di risposte impulsive e i processi di soluzione dei problemi.

Scopo dell’intervento scolastico a favore del bambino con disturbo da deficit di attenzione/iperattività è principalmente quello di incrementare l’adattamento del bambino al contesto scolastico.   A tal fine la scuola può agire in vari modo, facendo leva sulle competenze del personale docente, ma anche sulle proprie risorse in termini di struttura (ad es. materiali didattici ed aule dedicate), e sul contributo del personale non docente.
Inoltre, anche gli altri bambini possono essere considerati utili risorse nella gestione del bambino con ADHD quando attivamente coinvolti in progetti di classe.

Le diverse linee di intervento possono riguardare:

  • ‘integrazione all’interno della didattica curricolare di unità di lavoro specifiche sulle abilità attentive o su quelle di interazione sociale;
  • l’utilizzo di modalità didattiche specifiche, quali il peer tutoring, l’apprendimento cooperativo, unità di lavoro gestite dai bambini in qualità di “esperti”;
  • L’impiego di tecniche didattiche volte a favorire la sintonizzazione attentiva, il coinvolgimento nelle attività, un buon orientamento ai compiti proposti ed una sufficiente accuratezza nell’esecuzione dei lavori.

La collaborazione con la famiglia e gli operatori territoriali è fondamentale per definire un corretto profilo di abilità e difficoltà del bambino (a livello cognitivo, di apprendimento, comportamentale ed emotivo), e per individuare percorsi concordati che mirino non solo alla gestione cognitiva e comportamentale del bambino, ma soprattutto alla costruzione di un ambiente protesico, cioè di un contesto che favorisca la comparsa ed il successivo consolidamento di repertori comportamentali funzionali.

Nella scuola il contesto facilitante si estrinseca nella strutturazione funzionale di spazi e tempi di lavoro, nella definizione di routine e regole, nella strutturazione di specifiche attività in situazioni fluide e di transizione, nella definizione di progetti specifici mirati ad esempio ad un’efficace gestione dei materiali scolastici da parte dell’alunno.

La famiglia può, e deve, essere coinvolta come partner educativo, a sostegno e consolidamento dell’intervento scolare, permettendo ai genitori di sentirsi parte attiva nella strategia individuata ed evitando di farli sentire relegati nel ruolo di “educatori inefficaci” che a volte l’ambiente di vita del bambino assegna loro.

 

Dott.ssa Logopedista Claudia Antognozzi